Effetti dell’allenamento a basse cadenze nel ciclismo

Il ciclismo è uno sport molto diffuso e che prevede varie tipologie di allenamento; tra le più diffuse vi è sicuramente la pedalata libera all’aperto (da 2 a 30 ore settimanali a seconda del livello), ma ve ne sono anche altre come ad esempio l’allenamento della forza con carichi oppure altre attività di endurance come la corsa.

Un tipo di allenamento molto praticato a vari livelli (amatoriali ma anche professionistici), sono i lavori a basse cadenze imposte. Comunemente, atleti e tecnici nell’ambiente del ciclismo ritengono tali lavori utili per lo sviluppo della forza e nei processi di adattamento che portano ad un miglioramento della performance. 

Che cosa si intende per bassa cadenza? Generalmente una cadenza più bassa rispetto a quella che naturalmente risulta più comoda al ciclista in uno sforzo mantenuto. Ma dato che la cadenza scelta liberamente e che quindi risulta comoda dipende da vari fattori (sia interni che esterni) ed in generale aumenta all’aumentare della forza erogata, il concetto di bassa cadenza è abbastanza variabile. Ad esempio, durante uno sprint a 1000 w, ciclisti professionisti tengono una cadenza libera in media intorno a 110 rpm; in questo caso evidentemente una cadenza imposta di 80 rpm sarebbe da considerarsi bassa.

L’obiettivo di questa revisione della letteratura è stato dimostrare se questa tipologia di allenamento sia efficace nel migliorare la performance (o gli indicatori di performance) nel ciclismo.

Nei 7 studi inclusi, nei protocolli di allenamento proposti, la cadenza bassa variava da 35 rpm a 60 rpm, in ripetute di diversa intensità e durata.

Nonostante sia difficile estrapolare indicazioni chiare in merito all’obiettivo primario di questa revisione, in quanto gli studi inclusi presentano una grande variabilità relativa soprattutto ai campioni considerati, alle metodologie di allenamento applicate ed ai disegni degli studi stessi, risultano particolarmente interessanti alcune informazioni proposte nei singoli articoli.

In uno studio del 2009, Paton et al. hanno proposto a due gruppi di ciclisti un allenamento che prevedeva 5 ripetute da 30 secondi a massima intensità, in un gruppo ad alta cadenza nell’altro a bassa cadenza. Nel gruppo a bassa cadenza, dopo quattro settimane, si iniziavano a vedere leggeri miglioramenti della performance e degli indicatori di performance, non presenti nel gruppo ad alta cadenza. Ma la cosa più interessante è stato un maggiore aumento dell’ormone anabolico testosterone nel gruppo a bassa cadenza rispetto a quello ad alta, suggerendo così che il maggiore adattamento ottenuto con gli allenamenti a bassa cadenza potrebbe essere correlato all’ormone anabolico. Inoltre, sempre in questo studio, il gruppo a bassa cadenza ha presentato aumenti di VO2max non evidenti nel gruppo ad alta cadenza.

Sia Ludyga et al. (2016) che Nimmerichter et al. (2012) hanno confrontato tre gruppi: 1) gruppo di controllo senza allenamenti con ripetute ad alta intensità o variazioni di cadenza, 2) gruppo di studio con allenamenti con ripetute (6 x 5′) a bassa cadenza e 3) gruppo di studio con allenamenti con ripetute (6 x 5′) ad alta cadenza. Entrambi i gruppi di studio hanno mostrato miglioramenti significativi rispetto al gruppo di controllo, ma senza rilevanti differenze tra gruppo di studio 1 e 2. 

La cosa interessante messa in luce nello studio di Nimmerichter è stata che il gruppo a bassa cadenza svolgeva le ripetute in salita, mentre il gruppo ad alta cadenza in pianura. Nei risultati è stato evidenziato che mentre il gruppo ad alta cadenza migliorava la performance in time trial solo in pianura, il gruppo a bassa cadenza aveva miglioramenti della performance in time trial sia in pianura che in salita, mostrando una maggior trasferibilità del risultato ottenuto.

Hirano et al. (2015) hanno osservato valori di consumo di ossigeno (VO2) e di frequenza cardiaca minori durante pedalate a bassa cadenza rispetto ad alta cadenza, nonostante fosse mantenuta costante la potenza prodotta.

La potenza è probabilmente la variabile più importante da modificare per incrementare la performance. Whitty (2016) ha dimostrato che sia allenamenti ad alta che a bassa cadenza portavano adattamenti volti all’incremento della potenza generata, concludendo che probabilmente la miglior strategia di allenamento era quella di proporre entrambe le tipologie di allenamento.

Come accennato in precedenza, è credenza comune che questo tipo specifico di allenamento porti a miglioramenti di performance legati ad un aumento della forza muscolare, come per allenamenti di strength training. Ma diversi studi hanno dimostrato che, mentre allenamenti specifici di strength training aumentano la forza massima muscolare e l’endurance performance, gli allenamenti a bassa cadenza di pedalata migliorano solo l’endurance performance e non la forza massima muscolare, sottintendendo altri meccanismi per questo risultato ottenibile.

Pedalare a bassa cadenza aumenta l’attivazione del quadricipite ed il reclutamento di fibre muscolari di tipo 2, rispetto a pedalare ad alta cadenza alla stessa potenza. Quindi è possibile ipotizzare che allenarsi a basse cadenze porti a maggiori stimoli neuromuscolari ed ad un maggior lavoro delle fibre di tipo 2. In altri studi è stato precedentemente dimostrato che il consumo di glicogeno da parte delle fibre di tipo 2 è maggiore a 50 rpm che a 100 rpm pur mantenendo la stessa intensità (85% del VO2max).

Studi in risonanza magnetica funzionale sul sistema nervoso centrale sono stati effettuati su questo tema della cadenza nel ciclismo; l’informazione più importante che ne è derivata da un punto di vista pratico sembra essere che sia necessario introdurre anche allenamenti ad alta cadenza in quanto migliorano l’efficienza neurale, sotto forma di ridotta attività corticale, risparmiando risorse che possono essere utilizzate nell’aumentare la performance.

Tramite studi elettromiografici è stato mostrato invece che all’aumentare della cadenza aumenta l’attività elettromiografica dei glutei grande e medio, del vasto mediale, degli hamstring mediali, del gastrocnemio mediale e del soleo. Gli autori hanno individuato la cadenza migliore per potenza espressa, in quella cadenza corrispondente alla minore ampiezza dell’attività elettromiografica; hanno quindi notato come questo valore di cadenza aumenti con l’aumentare della potenza (57 rpm a 100 w, 99 rpm a 400 w).

Sono stati condotti anche studi che rapportano il VO2, il consumo energetico e l’efficienza con la cadenza della pedalata. La cadenza con il minor VO2 e la massima efficienza può essere denominata cadenza ottimale e coincide approssimativamente con 50-80 rpm; all’aumentare dell’intensità dell’esercizio, aumenta la cadenza ottimale.

Un altro studio ha cercato una correlazione tra la cadenza e la valutazione dello sforzo percepito (RPE). Sei adulti sani sono stati testati su questo valore su cicloergometro con rpm tra 40 e 100 a potenze pari al 70% ed al 100% della propria VO2max. La relazione è stata descrivibile con una curva a U. I valori minimi di RPE sono stati riscontrati a 65 rpm e 73 rpm rispettivamente al 70% ed al 100% della VO2max. Sembra che, in generale, cadenze inferiori a 60 rpm corrispondano a valori elevati di RPE.

Implicazioni pratiche

Gli autori concordano nel suggerire un regime di allenamento che preveda sia lavori a bassa cadenza che ad alta cadenza, in quanto entrambi sembrano essere utili nel migliorare la performance nel ciclista agonista.
L’allenamento a basse cadenze ad intensità da moderata a massima, può portare a miglioramenti della performance e degli indicatori di performance, nonostante ad oggi non ci sia una forte evidenza in letteratura probabilmente per la disomogeneità riscontrabile nei singoli studi.

Hansen EA, Rønnestad BR. Effects of Cycling Training at Imposed Low Cadences: A Systematic ReviewInt J Sports Physiol Perform. 2017;12(9):1127–1136.
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/28095074/

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