È il momento di cambiare il nostro modo di pensare al dolore femororotuleo?

Il dolore femororotuleo (PFP) è un disturbo muscoloscheletrico molto frequente negli adolescenti e nei giovani adulti. Il sintomo principale è un dolore retrorotuleo o perirotuleo aggravato dalle attività che aumentano il carico femororotuleo, come salire e scendere le scale, correre e mantenere a lungo la posizione seduta. Nonostante i numerosi studi, la prognosi nel lungo termine è ancora sfavorevole. In particolare, i pazienti con dolore elevato e una maggiore durata dei sintomi hanno il recupero più scarso.

Mentre in passato l’attenzione era rivolta esclusivamente al ginocchio, la ricerca recente ha evidenziato l’importanza dei distretti prossimali e distali nella gestione del PFP. Questo ha portato all’identificazione di sottogruppi di pazienti per indagare l’efficacia di nuove strategie di trattamento. Le evidenze recenti hanno sottolineato anche l’importanza di modificare il trattamento in relazione ai modelli del dolore.

La causa del PFP non è ancora chiara. Probabilmente è multifattoriale e include i fattori contribuenti biomeccanici. I modelli patologici strutturali hanno permesso di identificare numerosi fattori di rischio come la debolezza muscolare, la rigidità dei tessuti molli, le anomalie strutturali dell’arto inferiore, le disfunzioni del movimento e le alterazioni del timing del quadricipite. Queste alterazioni potrebbero modificare l’allineamento rotuleo, aumentando lo stress articolare tra rotula e femore, con conseguente insorgenza di dolore e disfunzioni. Ma, nonostante i risultati positivi con un trattamento basato sugli esercizi terapeutici, sullo stretching, sul tape o sui plantari, la cinematica della rotula e l’allineamento dell’arto inferiore rimangono invariati, mettendo quindi in discussione il ruolo delle strutture anatomiche nei soggetti con PFP.

L’utilizzo del tape determina alcuni benefici nella riduzione del dolore nel breve termine, ma l’effetto di questa strategia nel modificare la posizione e l’allineamento rotuleo è discutibile. L’efficacia del tape nel breve termine potrebbe essere attribuita all’elaborazione centrale del dolore attraverso un aumento del feedback propriocettivo.

Le revisioni recenti mostrano l’efficacia dell’esercizio terapeutico, anche se ancora non è completamente chiaro se siano più efficaci gli esercizi di rinforzo dei muscoli posterolaterali dell’anca o del quadricipite. Inoltre, la riduzione della forza dei muscoli dell’anca è probabilmente una conseguenza del PFP e non una delle potenziali cause.

L’associazione tra le modificazioni strutturali e il dolore continua a essere debole. Le modificazioni strutturali non spiegano completamente la risposta positiva alle strategie conservative e gli input nocicettivi conseguenti a queste alterazioni sono insufficienti a valutare e trattare il PFP.

Il dolore è modulato da molti fattori e la relazione tra il dolore e le alterazioni tissutali locali è meno prevedibile nei disturbi persistenti. Un’alterazione centrale dell’elaborazione del dolore, anche in assenza di una patologia tissutale, può essere presente nei pazienti con PFP. Inoltre, i pazienti con PFP credono di non poter migliorare e che il movimento aggraverà il danno tissutale e il dolore. La catastrofizzazione e la paura del movimento influenzano le risposte al dolore e contribuiscono allo sviluppo e al mantenimento della sensibilizzazione centrale.

I modelli del dolore basati sulle alterazioni anatomostrutturali non considera l’importanza del sistema nervoso centrale nello sviluppo del dolore e della disabilità. La nocicezione non è ne sufficiente ne necessaria per il dolore e, di conseguenza, sono necessari nuovi approcci nei pazienti con PFP presente da molto tempo.

L’esercizio terapeutico basato su movimenti che provocano dolore si è mostrato efficace in pazienti con lombalgia e dolore di spalla con sensibilizzazione centrale, per la probabile influenza sul sistema nervoso centrale. In particolare, l’esercizio è rivolto alla paura del movimento e alla catastrofizzazione, facendo capire al paziente che “sentir male non equivale a danneggiare qualcosa”. E’ ipotizzabile che questa strategia, non rivolta alla specifica patologia locale, ma basata sulla neurofisiologia, possa avere un impatto positivo anche nei pazienti con PFP persistente.

Smith BE, Rathleff MS, Selfe J, Hendrick P, Logan P. Patellofemoral pain: is it time for a rethink? With Tide; Off. UK Newsl. McKenzie Inst Mech Diagn Ther Pract. 2015;:13–18 (Summer)

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