Acufene come comorbidità dei disturbi temporomandibolari?

“Disturbi temporomandibolari” (TMD) è un termine collettivo per sintomi che coinvolgono i muscoli masticatori, l’articolazione temporomandibolare (ATM) e le strutture circostanti, con sintomi comuni che includono rumori dell’ATM come scatti e crepitii, apertura della bocca limitata o dolorosa e rigidità dei muscoli della mascella. I TMD hanno una prevalenza del 10%-15% nella popolazione generale, sono più comuni nella fascia di età compresa tra i 20 e i 40 anni, e due volte più comuni nelle donne. L’eziologia è multifattoriale, varia da individuo a individuo e un esame approfondito permette di capire meglio le relazioni eziologiche per individuare un trattamento appropriato. I trattamenti più spesso utilizzati e ritenuti efficaci per TMD sono informazioni e consigli, apparecchi occlusali, esercizi per la mascella e terapia comportamentale.

La complessità dell’eziologia dei TMD ha dato luogo in passato a una diagnostica insufficiente, per questo nel 1992 sono stati introdotti i Research Diagnostic Criteria for TMD (RDC/TMD) per standardizzare il processo diagnostico, aggiornati nel 2014 nei Diagnostic Criteria (DC/TMD), destinati all’uso sia nella ricerca che nella clinica, con l’obiettivo di migliorarne affidabilità e  validità oltre a facilitarne l’uso nella pratica clinica. Il sistema si basa su un questionario standardizzato e un esame clinico che aiuta i clinici a stabilire una diagnosi validata di TMD. Sia l’RDC/TMD che il DC/TMD si basano su un sistema a 2 assi, dove l’Asse I è costruito per la diagnosi relativa alle condizioni di dolore dei TMD (mialgia, artralgia e mal di testa attribuiti al TMD), e ai disturbi intra-articolari (dislocazioni del disco e patologia degenerativa delle articolazioni) e l’Asse II valuta il profilo psicosociale del paziente.

L’acufene è un’esperienza soggettiva di suoni squillanti, fruscianti o fischianti in assenza di stimoli o suoni esterni e può essere legato all’esposizione al rumore oltre che a cause traumatiche, infettive, neoplastiche e neurologiche. Un’ipotesi è che lesioni lungo il tratto uditivo possano causare un trasferimento anomalo e incontrollato degli impulsi interpretati dalla corteccia uditiva come suono, mentre altre cause potenziali includono deviazioni anatomiche, farmaci, disfunzioni metaboliche, dieta, depressione e attività neurale centrale. L’acufene è classificato in base alla qualità del suono che il paziente sperimenta (ad esempio tintinnio, fischio, toni o suoni alti), ma è difficile da misurare in modo affidabile poiché è un sintomo soggettivo, quindi spesso ricercatori e i clinici usano questionari auto-riferiti dal paziente, come il Tinnitus Handicap Inventory (THI).

Circa il 10%-20% della popolazione generale soffre di acufeni e i pazienti riferiscono disagio e  grave compromissione della qualità della vita. L’acufene aumenta con l’età, è più comune tra gli uomini e si verifica più frequentemente nei casi di riduzione dell’udito. Entrambe le orecchie sono spesso colpite, ma l’acufene può anche verificarsi in un solo orecchio, di solito nell’orecchio sinistro, anche se il perché non è così chiaro.

Non è stato trovato un trattamento efficace dell’acufene che fornisca un sollievo completo dei sintomi: è stato dimostrato che la terapia cognitivo-comportamentale aiuta i pazienti a gestire il disagio dell’acufene (difficoltà nel sonno e nella concentrazione, depressione), anche se il trattamento in sé migliora solo l’esperienza dei suoni e non i sintomi.

Il nesso causale tra i TMD e l’acufene non è chiaro e sono state proposte diverse teorie non supportate. Già nel 1934 Costen suggeriva che una riduzione dell’altezza del morso causata dalla perdita dei denti poteva aumentare la pressione sulla corda del timpano, che assieme al trigemino e al terzo nervo cranico innervano l’ATM, innervazione comune con l’orecchio, e possibile legame tra problemi di udito e TMD. Un’altra teoria è che l’iperattività dei muscoli masticatori (principalmente pterigoideo mediale e laterale) possa influenzare i muscoli dell’orecchio interno, il muscolo tensore del timpano e il muscolo tensore del palato, un muscolo del palato molle che equalizza la pressione nella cavità timpanica durante la deglutizione e lo sbadiglio per proteggere la membrana timpanica. Una terza teoria si basa sulla stretta vicinanza del disco dell’ATM all’orecchio e sul fatto che i cambiamenti nella posizione del disco e del condilo e la tensione della membrana timpanica possano influenzare l’acufene. Infine, la sensibilizzazione del sistema nervoso centrale può essere un fattore che contribuisce sia all’acufene che ai TMD.

Oltre a una connessione tra l’insorgenza dell’acufene e dei TMD, è stato suggerito che il trattamento dei TMD può alleviare l’acufene, anche se le evidenze a supporto sono deboli. Nel complesso, è necessario conoscere una possibile associazione tra acufene e TMD, compresi i risultati del trattamento, quindi lo scopo di questa revisione sistematica è stato di valutare la prevalenza dell’acufene nei pazienti con TMD e se il trattamento dei TMD può influenzare l’acufene.

Sono stati inclusi nella revisione 25 articoli, di cui 17 hanno descritto la prevalenza o l’incidenza dell’acufene in una popolazione di pazienti con TMD, 3 hanno riportato solo l’esito del trattamento e 5 hanno riportato sia la prevalenza che l’esito del trattamento dei TMD. In totale, 22 studi hanno riportato la prevalenza basata su 13.358 pazienti e 33.876 controlli, 8 studi hanno riportato l’effetto del trattamento basato su 536 pazienti e 18 controlli. L’anno di pubblicazione degli studi  inclusi va dal 1987 al 2016, la maggioranza pubblicati nell’ultimo decennio.

Secondo uno studio l’incidenza dell’acufene nei pazienti con TMD è dello 0,82% rispetto allo 0,3% del gruppo di controllo, mentre un altro studio ha riportato un’incidenza del 7,3%, ma a causa dei dati trasversali riportati solo in questo studio, è stato ritenuto descrivere la prevalenza e quindi incluso nei dati sulla prevalenza riferiti di seguito.

La prevalenza di acufeni riportata da tutti gli studi primari inclusi è stata dal 3,7% al 70% (mediana 42,3%) nei gruppi TMD e dall’1,7% al 26% (mediana 12%) nei gruppi di controllo. Quando si escludono gli studi con individui più giovani di 18 anni, gli intervalli minimo-massimo di prevalenza sono rimasti simili, ma con una mediana del 38% per i gruppi TMD e una mediana del 7,9% per i gruppi di controllo. In totale, 9 dei 22 studi che hanno riportato la prevalenza includevano un gruppo di controllo senza TMD. Tre degli articoli che non avevano un gruppo di controllo includevano solo pazienti di sesso femminile, e l’incidenza dell’acufene in questi gruppi femminili di TMD variava tra il 54,2% e il 62,5% (mediana 58,9%).

Solo uno studio ha fornito evidenze che il trattamento può migliorare i sintomi dell’acufene rispetto a nessun trattamento, gli altri otto studi non avevano gruppi di controllo, ma in generale indicavano una tendenza al miglioramento dell’acufene con il trattamento dei TMD. La maggioranza degli studi ha riportato un miglioramento in più della metà dei pazienti dopo fisioterapia e vari tipi di trattamento con apparecchi occlusali.

I risultati suggeriscono che alcuni tipi di trattamento dei TMD, come esercizi per il rilassamento, la fisioterapia e vari tipi di apparecchi occlusali possono aiutare i pazienti con acufene e comorbidità di TMD. I risultati migliori del trattamento dell’acufene si sono avuti in pazienti giovani con acufeni lievi, soprattutto quando l’insorgenza dei TMD e dell’acufene avveniva contemporaneamente. La maggior parte degli studi ha fornito un trattamento personalizzato per i pazienti, progettato in base alla valutazione dei TMD e questo sembra aver prodotto i migliori risultati, anche se ha reso difficile valutare quale alternativa di trattamento individuale sia più efficace. Nell’insieme, i risultati di questa revisione sistematica indicano che può essere possibile alleviare i sintomi dell’acufene con il trattamento di TMD coesistenti, infatti la maggior parte dei pazienti negli studi primari ha riportato un netto miglioramento dell’acufene con il trattamento dei TMD e nessuno studio ha riportato che il trattamento del TMD abbia peggiorato l’acufene. Tuttavia, per la mancanza di gruppi di controllo nella quasi totalità degli studi, non si può escludere che un effetto placebo possa aver influenzato i risultati o che il decorso naturale dell’acufene possa portare a un miglioramento nel tempo.

Considerato l’effetto negativo sulla qualità della vita sia dell’acufene che dei TMD, è importante che i pazienti con TMD e acufeni siano identificati dai medici di base e dai dentisti, e che venga loro offerta una valutazione e un trattamento efficaci. Negli esami clinici dei TMD è essenziale osservare anche i sintomi otologici e viceversa, infatti una maggiore collaborazione tra i clinici potrebbe permettere di identificare questi pazienti in modo da poter offrire loro un trattamento appropriato.

In conclusione, secondo gli autori questa revisione sistematica ha riscontrato una maggiore prevalenza di acufeni nei pazienti con TMD rispetto alla popolazione generale e questo supporta la comorbidità tra i TMD e l’acufene, anche se tutti gli studi primari inclusi sul trattamento dei TMD, tranne uno, mancavano di gruppi di controllo, il che significa che la ricerca futura dovrebbe avere come obiettivo l’associazione fisiopatologica. La mancanza di evidenze rispetto a una possibile relazione tra acufene e TMD porta alla necessità di studi randomizzati controllati e ben disegnati per chiarire la relazione tra acufene e TMD e il possibile effetto del trattamento dei TMD sulla gravità dell’acufene nei pazienti con TMD e la comorbidità dell’acufene.

Skog C, Fjellner J, Ekberg E, Häggman-Henrikson B. Tinnitus as a comorbidity to temporomandibular disorders-A systematic review. J Oral Rehabil. 2019 Jan;46(1):87-99.

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/30126027/

L’acufene nei pazienti affetti da disturbi temporomandibolari: implicazioni cliniche dai risultati della ricerca?

Riportiamo in sintesi anche il commento alla revisione ad opera del dottor Daniele Manfredini, il quale sottolinea come l’argomento della revisione sia di indubbio interesse per i professionisti coinvolti nel trattamento dei pazienti con TMD, per i quali a volte è richiesta un’interazione con gli otorinolaringoiatri, ma nota che la sensazione generale è che questa revisione non aggiunga troppe conoscenze rispetto a ciò che si può percepire attraverso una rapida panoramica della letteratura pubblicata. Questa revisione infatti non porta ad alcun suggerimento concreto né per l’ambito clinico (es. identificazione dei pazienti con acufene in relazione al problema dei TMD, gestione dell’acufene, affinamento delle strategie diagnostiche) né per quello della ricerca (ad esempio suggerimenti per migliorare le conoscenze con ricerche future) e non contiene alcuna informazione nuova e rilevante per un lettore esperto.

Il termine ombrello ‘TMD’ è usato in tutto il manoscritto, mentre si sarebbero potute fare considerazioni sulle diverse diagnosi di TMD ed evitare conclusioni generiche sulla mancanza di conoscenza e sulla necessità di studi futuri. La scelta di non commentare separatamente gli studi che adottano diagnosi basate su questionari e quelli che adottano diagnosi cliniche standardizzate basate sui RDC/TMD complica la valutazione della letteratura, ad esempio limitare la revisione ai lavori che utilizzano l’RDC/TMD avrebbe evidenziato un range di prevalenza dell’acufene più ristretto (30,4-70%) rispetto all’inclusione degli studi basati sui questionari, strategia che avrebbe potuto portare ad alcuni potenziali suggerimenti sulla relazione tra l’acufene e i diversi sintomi dei TMD. Inoltre, riportare i dati per sesso e, più importante, per cronicità dei TMD e per il profilo psicosociale avrebbe potuto essere un’importante aggiunta alla revisione: infatti in ambito clinico è ormai ben accettato che i TMD o i sintomi simili ai TMD possono essere presenti in individui con o senza importante compromissione psicosociale, con la prima condizione che è più difficile da gestire e che ha una maggiore frequenza di segni/sintomi in comorbidità. Significa che i pazienti con profili dell’asse II dei RDC/TMD gravemente compromessi hanno più acufeni degli altri? Il dottor Mafredini consiglia di considerare che, sulla base delle conoscenze attuali, qualsiasi ricerca sui TMD che non tenga in debito conto i risultati dell’asse II paralizza i principi fondamentali del modello biopsicosociale della malattia.

Inoltre, commentare aspetti quali modelli particolari di disturbo muscolare o articolare più frequentemente associati all’acufene costituisce un passo fondamentale per migliorare la qualità della ricerca primaria su questo complesso argomento e, come tale, ci si sarebbe potuti aspettare una valutazione più mirata della qualità nella revisione, o valutando gli articoli o introducendo alcune soglie di qualità per l’inclusione. Considerazioni simili valgono anche per gli articoli sull’effetto del trattamento dei TMD sull’acufene, per i quali, come gli autori hanno sottolineato, diversi articoli sono stati prodotti dallo stesso autore, con il rischio di sovrapposizione dei dati.

In generale, questa revisione è un altro pezzo da aggiungere al complesso puzzle delle comorbidità e delle manifestazioni cliniche dei TMD, che in conclusione riporta una dichiarazione generica abbastanza tipica sulla mancanza di evidenze forti e la necessità di ulteriori ricerche. Con qualche sforzo in più per raffinare o giudicare la qualità degli articoli recensiti e per suggerire alcune idee di ricerca concrete o implicazioni cliniche, secondo il dottor Manfredini questo contributo al puzzle avrebbe potuto essere ancora più importante.

Manfredini D. Tinnitus in Temporomandibular Disorders patients: any clinical implications from research findings? Evid Based Dent. 2019 Mar;20(1):30-31.

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/30903128/

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