Effetti della terapia manuale sui trigger point attivi dello sternocleidomastoideo in pazienti con cefalea cervicogenica

Secondo la classificazione della International Headache Society, la cefalea cervicogenica (CeH) è una cefalea secondaria, caratterizzata da mal di testa unilaterale con segni e sintomi di un coinvolgimento cervicale, ad esempio dolore al movimento, alla pressione del rachide cervicale superiore e/o nel mantenimento di posizioni prolungate. Alcune revisioni sistematiche hanno evidenziato l’importanza delle mobilizzazioni e manipolazioni del rachide cervicale superiore nella gestione della CeH, anche se la presenza di trigger point muscolari (TrP) può essere importante nella genesi del dolore.

L’obiettivo di questo studio pilota è stato verificare gli effetti preliminari del trattamento dei TrP attivi nello sternocleidomastoideo in soggetti con CeH.
I soggetti inclusi nello studio presentavano una diagnosi di Ceh in accordo ai criteri di Sjaastad and Fredriksen e TrP attivi nel muscolo sternocleidomastoideo diagnosticati con i criteri di Simon et al.

I risultati preliminari dello studio hanno evidenziato che la terapia manuale dei TrP attivi nel muscolo sternocleidomastoideo potrebbe essere efficace nel breve termine per ridurre l’intensità della cefalea e del dolore cervicale (valutata con la NPRS e tramite questionario) e la sensibilità del dolore alla pressione (valutata con algometro), per migliorare la performance motoria dei flessori cervicali profondi (valutata con il craniocervical flexion test mediante l’utilizzo dello Stabilizer), migliorare il ROM attivo cervicale (misurato con il dispositivo CROM).

Questi risultati supportano l’ipotesi che, nei pazienti con CeH dove il dolore riferito dai TrP attivi dello sternocleidomastoideo riproduce i pattern del mal di testa, la terapia manuale può rappresentare una strategia efficace, anche se questi risultati necessitano di essere confermati da ulteriori studi clinici con campioni più ampi e follow up nel lungo termine.

Bodes-Pardo G, Pecos-Martín D, Gallego-Izquierdo T, Salom-Moreno J, Fernández-de-Las-Peñas C, Ortega-Santiago R. Manual Treatment for Cervicogenic Headache and Active Trigger Point in the Sternocleidomastoid Muscle: A Pilot Randomized Clinical Trial. J Manipulative Physiol Ther. 2013 Jul 8.

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23845200
trigger point

5 commenti

  • Luca

    Caro Samuele, innanzitutto complimenti per il sito che offre ottime risorse per noi fisioterapisti.

    Vorrei commentare i risultati di questo studio e lo studio stesso dal momento che e’ un argomento a cui sono particolarmente interessato. Penso che la lettura di questo studio possa essere potenzialmente negativo per alcuni fisioterapisti “creduloni”. Mi spiego meglio: prendere 20 individui e trattarne 10 “schiacciando” punti di dubbia esistenza ed affermare che post-trattamento e ad una settimana follow up ci sono miglioramenti giocando magari un po’ con la statistica non mi sembra un gran passo avanti nella comprensione delle cefalee cervicogeniche soprattutto per coloro che non sanno cosa sia una RCT, Systematic Review e ricerca in generale.

    Pongo i seguenti dubbi e domande che dal mio punto di vista la nostra categoria dovrebbe chiedersi nonostante io abbia letto solo l’abstract e qualcosa mi sara’ sfuggito:

    1)erano pazienti con dolore cronico?

    2)erano pazienti gia’ stati trattati in precedenza da altri?

    3)quale idea avevano del problema e come e’ stato spiegato loro?

    4)hanno giovato maggiormente del trattamento coloro i quali avevano dolore con movimento o coloro i quali avevano dolore con posizioni mantenute?

    5)prendevano farmaci?

    6)Perche’ ci si ostina a trattare le cefalee cervicogeniche in generale senza una subclassificazione?

    7)Inoltre siamo sicuri che l’approccio biomeccanico sia esaustivo per la comprensione del dolore muscoloscheletrico? Non e’ forse il caso di passare ad un approccio biopsicosociale?

    8)Siamo sicuri che il nostro sistema biomeccanico e gli esercizi/trattamento che proponiamo non sia solo un sistema puramente riduzionistico della questione?

    Colgo l’occasione per porti nuovamente i complimenti per il sito.

    Luca

  • Samuele Passigli

    Ciao Luca, grazie per il commento e per i complimenti, che condivido con tutti i componenti dello Staff.

    Lo studio in oggetto presenta indubbiamente delle criticità e limitazioni, in parte perdonabili se consideriamo il disegno scelto. In particolare, non condivido i criteri di inclusione. Gli autori hanno definito come criterio di inclusione, oltre ai criteri di Sjaastad and Fredriksen per la diagnosi di CeH, la presenza di un TrP attivo nello sternocleidomastoideo che riproducesse il sintomo. Non conoscendo studi di prevalenza sulla presenza di TrP in pazienti con CeH, mi viene da pensare che i miglioramenti nell’outcome nel breve termine (dopo una settimana) siano riconducibili all’effetto del trattamento sui TrP e non, in realtà, ad un ipotetico effetto sulla CeH. Ovvero, gli autori hanno incluso nello studio una sottocategoria di pazienti con diagnosi di CeH e una concomitante presenza di TrP attivi. Di conseguenza, credo che sia impossibile estendere i risultati a tutto l’universo dei pazienti con CeH.

    Condivido il tuo pensiero sulla necessità di creare delle sottocategorie, necessarie in tutti i disturbi con patogenesi multifattoriale. La definizione di CPR potrebbe aiutare il clinico nel management dei pazienti affetti da CeH.

    Per condividere un ulteriore tuo dubbio, ti confermo che i pazienti inclusi presentavano una CeH cronica, in quanto la sintomatologia era presente da più di tre mesi, con almeno un episodio di cefalea alla settimana. Se un approccio biomedico può forse essere ancora efficace nei disturbi acuti, le condizioni croniche necessitano indubbiamente di un approccio biopsicosociale, sia in fase di valutazione sia in fase di trattamento.

    Leggo sempre con interesse i lavori di César Fernández-de-las-Peñas; assieme a Dommerholt e Dunning, è l’autore che ha dato maggior scientificità all’argomento TrP. Ma come tutte le pubblicazioni scientifiche, anche i suoi articoli necessitano di un’attenta lettura critica, per individuare forza e limitazioni, senza limitarsi alla lettura del solo abstract, per comprendere il reale impatto nella nostra pratica clinica.

    Un caro saluto,
    Samuele

  • Luca

    Grazie Samuele per avermi chiarito alcuni dubbi.

    Ho letto qualcosa di Dunning e ne ho sentito parlare, per questo vorrei chiederti se per caso mi potresti dire qualcosa in piu’ riguardo alle sue ricerche.

    Le sistematic reviews che ho letto (tra cui De las Penas) affermano che le manipolazioni hanno una limitata evidenza nelle CeH (level 3) addirittura per altri che non abbiano nemmeno un effetto reale. Suppongo che James Dunning voglia dimostrare che sono uno strumento utile per le CeH.

    Per cui non conoscendo nulla di Dunning ho questo dubbio che magari mi puoi chiarire: utilizza un approccio manipolativo diverso rispetto alla comune “spinal manipulation” in modo tale da poter confutare i risultati delle sistematic reviews o semplicemente utilizza le manipolazioni in sottogruppi specifici in modo da ottenere risultati piu’ significativi?

    Grazie mille,

    Luca

  • Samuele Passigli

    Ciao Luca,

    una review pubblicata in Cephalalgia (Astin and Ernst, 2002) conclude che non è chiaro se la manipolazione spinale rappresenti o meno un trattamento efficace nella CeH; di contro, una a Cochrane review del 2004 (Bronfort et al.) conclude che la manipolazione spinale è un’opzione di trattamento efficace per il management della CeH. La Cochrane review presenta indubbiamente una qualità metodologica migliore, anche se gli RCT inclusi sono molto eterogenei (di conseguenza, è difficile trasferire i risultati nella pratica clinica). Secondo i risultati della revisione di Bronfort, sia gli esercizi sia la manipolazione sono efficaci nel breve e lungo termine, se confrontati con il wait and see; la manipolazione è efficace nel breve termine se confrontata con il massaggio e con il placebo; esistono evidenze deboli sull’efficacia della manipolazione se confrontata con la mobilizzazione; inoltre, le evidenze sull’efficacia della manipolazione nel breve termine confrontata con il ghiaccio nel trattamento della CeH post-traumatica sono deboli.

    Interessante, anche se non prende in considerazione le tecniche HVLAT, è un RCT di Hall del 2007 pubblicato su JOSPT. I risultati evidenziano l’efficacia delle self SNAG a livello C1-C2 nel trattamento della CeH (follw up fino a 12 mesi).

    Per tornare all’articolo pubblicato, esiste anche un studio prospettico pubblicato sul JMPT nel 1997 (un po datato, lo ammetto…) da Nilsson et al. in cui i risultati evidenziano un’efficacia maggiore delle tecniche HVLAT nel trattamento della CeH rispetto al laser e al trattamento dei trigger point.

    Concordo con ciò che affermano Fernández-de-Las-Peñas nella review da te citata e pubblicata su Manual Therapy nel 2005, ovvero nella necessità di ulteriori studi di buona qualità metodologica per confermare o rifiutare l’efficacia della manipolazione spinale nei pazienti con CeH.

    Sinceramente, non conosco i progetti di Dunning per il futuro; ho solamente partecipato ad un suo evento formativo, ma spero di avere presto l’occasione per completare il percorso offerto.

    Ti saluto e ti ringrazio per la discussione.

  • Luca

    Grazie a te delle puntuali risposte!

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