Terapia cognitivo-funzionale e dolore cronico: flessione di schiena, catastrofizzazione e autoefficacia

La lombalgia (LBP) è una condizione prevalente in cui i fattori biopsicosociali contribuiscono al dolore persistente e alla disabilità. Le linee guida per il trattamento di LBP suggeriscono di concentrarsi sulle barriere fisiche e/o psicologiche alla guarigione di un individuo, una volta esclusa una patologia grave.

Molti fattori psicologici sono associati a risultati scarsi per le persone con LBP. Questi fattori influenzano l’esperienza del dolore, i livelli di disagio e le risposte comportamentali. La Pain Catastrophizing (PC) e la Pain Self Efficacy (PSE) sono fattori psicologici chiave per il LBP.
La PC si manifesta con amplificazione della sofferenza e senso di impotenza legati a dolore o pensieri ad esso associati. Al contrario, la PSE riguarda la fiducia di una persona nella capacità di svolgere diverse attività nonostante il dolore. Comprendere come questi due aspetti influenzino i modelli comportamentali legati al dolore può offrire preziose indicazioni per definire gli obiettivi terapeutici e migliorare gli esiti nel trattamento del LBP.

Il modello della paura-evitamento (fear-avoidance model) suggerisce che un’esperienza dolorosa, se interpretata come minacciosa, può innescare pensieri catastrofici, che a loro volta generano paura, iperprotezione e comportamenti di evitamento, come la riduzione di ampiezza e velocità del movimento spinale o l’evitare specifici movimenti. Questo processo può creare un circolo vizioso che alimenta dolore, disagio e disabilità.

La PSE sottolinea l’importanza di credere nella propria capacità di gestire il dolore e di continuare a svolgere le attività quotidiane nonostante i sintomi. Questo concetto collega il coping attivo a comportamenti positivi nei confronti del dolore. Entrambi i modelli — paura-evitamento e autoefficacia — offrono una struttura utile per comprendere come i fattori psicologici influenzino i cambiamenti nei comportamenti legati al dolore, come ad esempio il movimento della schiena.

Esistono solide evidenze che le persone con LBP mostrino pattern di movimento differenti rispetto a chi non ne soffre. Queste differenze si manifestano principalmente con:

  • movimenti più lenti,
  • ridotto range di movimento (ROM),
  • alterazioni nell’attivazione muscolare.

La valutazione personalizzata del comportamento del movimento riveste un ruolo cruciale nella gestione del LBP, ponendo particolare attenzione ai movimenti percepiti come temuti, evitati o dolorosi. Tra questi, la flessione è frequentemente riferita dai pazienti come un movimento temuto e doloroso, e rappresenta uno degli aspetti più analizzati da clinici e ricercatori.

La Terapia Cognitivo-Funzionale (CFT) è un approccio cognitivo-comportamentale centrato sulla persona, specificamente sviluppato per pazienti con lombalgia cronica (CLBP). Questo intervento si concentra sulle barriere psicologiche e fisiche/comportamentali che ostacolano il recupero. Un elemento fondamentale della CFT è il lavoro sui fattori psicologici disfunzionali, come la PC e la bassa PSE, e sui comportamenti legati al movimento. Attraverso esperimenti comportamentali guidati e personalizzati, che prevedono l’esposizione graduale al movimento, la CFT mira a ridurre i comportamenti protettivi e di evitamento, favorendo invece la fiducia nel movimento stesso. Lo studio RESTORE (https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/37146623/) ha evidenziato come la CFT produca effetti significativi e duraturi non solo sulla catastrofizzazione e sull’autoefficacia, ma anche sulla riduzione di dolore e disabilità, rispetto alle cure tradizionali.

Lo scopo di questo studio è stato determinare come i cambiamenti nella flessione in avanti del tronco si correlino con le variazioni della PC e della PSE durante un intervento di CFT rivolto a persone con CLBP.

Un dato rilevante emerso è che un incremento della velocità di flessione in avanti è fortemente associato a riduzione della PC e ad aumento della PSE, misurate rispettivamente tramite la Pain Catastrophising Scale e il Pain Self-Efficacy Questionnaire. Le evidenze emergenti suggeriscono che la velocità di movimento possa rappresentare un parametro più significativo rispetto al semplice ROM, poiché è strettamente legata ai comportamenti motori delle persone con LBP e perché un aumento della velocità è correlato a miglioramenti clinici in termini di dolore e disabilità. Tuttavia, la relazione tra velocità di movimento e variabili psicologiche è stata finora poco esplorata e rimane poco chiara. I risultati dello studio hanno evidenziato l’importanza di una valutazione comportamentale completa nelle persone con CLBP, che includa sia la misurazione della velocità di flessione in avanti sia l’analisi dei fattori psicologici associati.

La CFT mira a modificare cognizioni disfunzionali legate al dolore, come la convinzione che il dolore indichi un danno e che quindi sia necessario proteggere la schiena durante la flessione, cognizioni che alimentano comportamenti motori dolorosi, temuti o evitati. Il trattamento mira a ricostruire la fiducia nel movimento non protettivo, favorendo una riformulazione positiva delle cognizioni sul dolore e una riduzione della catastrofizzazione.

I fisioterapisti sono in grado di rilevare con buona precisione variazioni di ROM in flessione superiori a 12°, ma finora nessuno studio ha indagato quali cambiamenti di velocità siano percepibili durante l’osservazione clinica. Nel corso delle 13 settimane di trattamento analizzate, la velocità media di flessione del tronco è aumentata di 14°/sec, sottolineando l’importanza di questo parametro nel monitoraggio del recupero. Ad esempio, una persona con un ROM di 75° e una velocità iniziale di 19°/sec impiega circa 4 secondi per completare la flessione; se la velocità aumenta a 33°/sec, il tempo si riduce a circa 2,3 secondi, un cambiamento probabilmente facilmente osservabile in ambito clinico.

Questi risultati sostengono l’importanza di una valutazione comportamentale nelle persone con lombalgia cronica, che includa la misurazione della velocità di flessione in avanti insieme all’analisi dei fattori psicologici. Inoltre, offrono evidenze a favore dell’utilizzo del monitoraggio della velocità come strumento utile nella rivalutazione del paziente.

È possibile ipotizzare che la velocità ridotta del movimento rappresenti una strategia di protezione o evitamento. Gli incrementi osservati nella velocità di flessione in avanti potrebbero quindi riflettere una riduzione del “guarding”, cioè della tendenza a proteggere o irrigidire la schiena per evitare dolore o danni, e un miglioramento della fiducia nelle proprie capacità (autoefficacia). In quest’ottica, un’esposizione graduale a velocità di movimento maggiori potrebbe essere uno strumento efficace per ricostruire la fiducia nelle proprie capacità motorie. Questa “riconcettualizzazione del movimento” — da minaccioso a terapeutico — può rappresentare un cambiamento significativo nel modo multidimensionale con cui una persona percepisce il proprio dolore. Non sono state riscontrate correlazioni significative tra il ROM del tronco o della zona lombare e i punteggi di catastrofizzazione o autoefficacia.

In conclusione, l’aumento della velocità di flessione in avanti sembra essere fortemente associato a miglioramenti di catastrofizzazione e autoefficacia, in linea con l’obiettivo della CFT di promuovere movimenti “non protettivi” e una ristrutturazione positiva delle credenze legate al dolore. Questi cambiamenti nella velocità di flessione si rivelano quindi un parametro rilevante da integrare nella valutazione e nel trattamento clinico, insieme alle variazioni nel range di movimento.

Chang R, et al. Relationships Between Changes in Forward Bending, Pain Catastrophizing, and Pain Self-Efficacy During Cognitive Functional Therapy for People With Chronic Low Back Pain. J Orthop Sports Phys Ther. 2025;55(4):284-294.
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/40145803/

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